_ Il tema del doppelgänger, del doppio, è uno dei più abusati nel campo della letteratura e del cinema fantastici. Prendete ad esempio Edgar Allan Poe, “maledetto” e decadente ante-litteram, inventore del romanzo poliziesco, esponente di un tardo-romanticismo che si tingeva di suggestioni gotiche. In uno dei suoi racconti, “William Wilson”, un giovane dissoluto (William Wilson, per l'appunto) è ossessionato da un suo omonimo compagno di studi, sorta di gemello “buono”, che finisce con l'uccidere durante una festa in maschera al carnevale di Roma. È dal titolo di tale novella che un giovane e misterioso cantautore siracusano ha tratto il proprio nome d'arte ed è alla scissione di cui essa tratta che in un certo senso (e inconsciamente) s'ispira un'album come “Summer Holidays and Folk Routine”. William Wilson, infatti, aveva esordito un anno fa con l'LP “Just for You, Not for All”, raccolta di folk-ballad in bilico fra tradizione (gli chansonnier, la psichedelia anni '60) e modernità (il grunge) caratterizzate da arrangiamenti scarni, minimali, da melodie cariche di pathos e da testi letterati (i brani, fatta eccezione per due inediti e due cover, erano basati su liriche di Gregory Corso e Boris Vian). Ora questo EP ci mostra l'altra faccia di Wilson, quella più vicina al pop-rock e all'elettronica. Le sette tracce della release giocano con suggestioni di stampo “Madchester” venate industrial (Vita Ludis Est), jazz da night-club degni di David Sylvian (Blank), sperimentano con la drum'n'bass e le melodie oblique dei Radiohead (A Song for Allan), rileggono Tim Buckley alla maniera dei R. E. M. (Phantasmagoria in Two), mescolano inquietudini à la Maynard Keynes con il folk lisergico dell'era hippie (Kissed), tratteggiano splendidi mid-tempo che farebbero felici i primi Wilco (I Like Fasolino, cover dei conterranei The Pepi Band) o strumentali romantici dal forte piglio cinematico (By Night). Una prova all'insegna della varietà, dunque, ma tutt'altro che dispersiva o impersonale. La mano di Wilson (qui coadiuvato da Valerio Zappulla in veste di co-autore) s'avverte ad ogni passaggio, emerge prepotente, nonostante le tessiture di mellotron, tastiere, organo, archi e sei corde elettriche facciano di tutto per far dimenticare lo spirito del songwriter acustico che permeava l'album di debutto. Certo, tanta varietà costa qualcosa in termini di originalità e d'intensità, ma è un peccatuccio veniale: “Summer Holidays and Folk Routine” è comunque la riconferma brillante di un talento prezioso, di uno spirito inquieto pronto a regalarci in futuro – ne siamo certi – altre soddisfazioni. - Marco Loprete - 7/10 Un famoso architetto, chiamato ad esprimere un parere sulla città in cui vivo, affermò che si tratta di un luogo che non disturba affatto lo sguardo. Mi sono domandata se fosse un complimento o un insulto: il senso dell'affermazione mi è chiaro dopo aver ascoltato "Summer Holidays & Folk Routine", secondo album di William Wilson. L'intento è quello di convogliare la variegata esperienza precedente (dal rock al black metal al punk) in un progetto non troppo originale: unire sonorità folk (quasi assenti) e ambientazioni oscure. Qualcosa di affine alla potenza degli Spiritual Front? No, è giusto chiarirlo. C'è confusione: l'iniziale e accattivante "Vita ludus est" ricorda i primissimi Queens of the Stone Age, ma gli altri brani si distaccano subito, proponendo ballad piatte e scialbe. Buona la cover di "Phantasmagoria in Two" di Tim Buckley. In sostanza l'album vuole giocare con i contrasti, come nel racconto di Edgar Allan Poe che ha ispirato il moniker del musicista. Una continua lotta tra alter-ego fin troppo simili tra loro. Ma nel disco gli accostamenti sonori sembrano casuali, non pienamente sotto controllo. In esperimenti del genere c'è il rischio di proporsi con un'identità poco definita, anonima. Il risultato passa inosservato. Non disturba l'udito. Non so se è un complimento o un insulto. - Roberta D'Orazio - "Tu hai vinto ed io muoio. Ma d'ora innanzi anche tu sei morto, morto al mondo, al Cielo e alla speranza! Tu esistevi in me, ed ora tu vedi nella mia morte, in questa stessa immagine che è la tua, come abbia assassinato te stesso!" (EA. Poe - William Wilson) E' buio pesto nella mia stanza e cosi nel panorama musicale indie nostrano e proprio nelle tenebre quel po' di luce che affiora ci pare un fuoco immenso che ci da' speranza, illusione e troppe volte delusioni. Ci fa' sentire vivi quella lucina, anche se sembra cosi difficile, da lontano, distinguere le stelle all' orizzonte dai falo' delle puttane stakanoviste. E' cosi che finiamo per idolatrare musicisti mediocri, operatori ecologo-musicali che con le loro belle scope a forma di chitarra raccolgono gli avanzi di Battisti, Rino Gaetano, De Gregori e poi cucinano tutto in bel timballo tanto bello quanto indigesto. Accendo la luce prima di buttar giu' televisore e computer e comincio ad ascoltare e mi rendo conto di essere in Italia nel 2011 e negli States di inizi anni '90 e a Filadelfia nel 1839. Non so esattamente quando mi trovo ma scopriro' che quello che sto per ascoltare non e' certo l' aborto di qualche puttana o spazzino del mestiere. C'e' tanta passione, amore, nella musica di William Wilson e poco spazio per paraculate. Basta stronzate, veniamo alla musica e "balliamo di architettura" che poi e' la passione di noi ex musicisti e scrittori falliti, resuscitati dal mito di Bangs. L' Ep "Summer Holidays & Folk Routine" si apre con Vita Ludus Est, 3 minuti e 40 secondi che vi daranno la carica, la forza di alzarvi dal letto, togliere il disco e tornare tranquilli dal vostro amato Eddie. Ma non fatelo! "Finche' c'e' vino e sigarette c'e' speranza". L' apertura suona vecchia, ripetitiva, poco ispirata ma quanto meno allarga il sound del cantautore siracusano verso scenari elettronici e "synthetici". Il secondo brano, Blank, alza decisamente la qualita', anche se nulla di nuovo e' sotto il sole. Matt Elliott, Mark Lanegan, i paragoni potrebbero essere infiniti. Buona voce, mai ridondante, chitarra, piano, e tutto quello che serve per realizzare un pezzo sulle note del quale sognare, amare e bere vino. Con Kissed, la storia cambia ancora. Unica costante la voce. Sempre opportuna ed efficace. Ritmo ripetitivo, ossessivo, potente che sembra sciogliersi a mano a mano che il tempo passa. La musica si sfalda e si ricompone continuamente in maniera psychedelica, cosi come farebbero i volti della gente ai vostri occhi, in pieno trip da Lysergesäurediethylamid, per poi chiudersi con un accenno di piano che sembra il preludio a quello che ci aspetta. In By Night il padrone assoluto e' proprio lui. Modern Classical , Post Rock, tutto in chiave strumentale per 3 minuti scarsi che vorresti non finissero mai. Pezzo eccellente. Stessa cosa il brano successivo Pantasmagoria in two, cover di Tim Buckley. Il paragone vocale e' ovviamente impossibile, la musica non si discosta molto dall' originale ma ha il pregio di ripulirla dalla polvere dei suoi tanti anni. Siamo quasi alla fine ma c'e' ancora tanto da ascoltare. I like Fasolino (reinterpretazione dei The Pepi Band) e' forse il pezzo migliore del disco, perfetta sintesi di voce, atmosfera e nostalgia folk, voce, piano, chitarra ecc.. Tutti gli elementi si mescolano perfettamente senza mai scontrarsi e senza appesantire il pezzo. Il disco si chiude con A Song for Allan, che non fa' nient' altro che ricollegarsi all' iniziale Vita Ludus Est ed al suo accenno alle contaminazioni elettroniche. L' EP e' finito. Non so' bene se e quanto sono soddisfatto. Intanto inizio a riascoltarlo. Tanti interrogativi restano aperti. L' elettronica non e' parsa una trovata geniale quanto piuttosto un modo semplice per svecchiare musica che non e' certo la piu' avanguardista che ascolterete ma finisce per banalizzare le qualita' di William Wilson. La speranza e' che nei prossimi lavori siano piu' chiare le intenzioni e il percorso artistico e soprattutto crediamo che nulla possa impedire il ripetersi di prelibatezze gia' assaporate stasera. La speranza e' che il talento di William Wilson non finisca per assassinare se' stesso. Sulla fiducia, sette pieno. - Silvio Pizzica - 7/10 In “Blank” la sua voce è bella calda con note basse sensuali. Tema musicale da film in “By Night” con la bellissima introduzione del pianoforte, un inno all'amore! Intenso, intimista, il suo album è un capolavoro di orchestrazioni splendidamente eseguite. E' un piacere l'ascolto e spero di sentirne presto parlare e non escluderei panorami esteri per questo bravo e accattivante artista. - Tiziana Tesio - 8/10 Dopo aver ascoltato il nuovo Ep di William Wilson ti chiedi se quello che stai ascoltando sia la stessa persona che lo scorso anno aveva pubblicato l’album Just for you, not for all. No perchè a me qualche dubbio è venuto se non fosse però che la voce del buon William è la stessa che si sente ascoltando i due dischi. Allora dove bisogna cercare le differenze? Naturalmente nella struttura e composizione dei brani: quelli del primo album erano scarni scorci acustici privi di qualsiasi contorno musicale che non rientrasse nella sei corde e nella sola voce del Wilson il quale si era immedesimato nella figura del cantore maudit (non per niente nel nome in cui si è rifugiato il musicista siciliano c’è un chiaro omaggio ad un personaggio partorito dalla penna di Edgar Allan Poe). Ora invece in questo nuovo ep, Summer Holidays, le cose cambiano e William “scopre” il rock contaminato da una lamina elettronica, ne è un esempio la traccia posta in apertura, “Vita Ludus Est”, distante anni luce dal Wilson che abbiamo conosciuto. Ma non è un episodio isolato perchè anche il pezzo che va a chiudere il disco, “A Song For Allan”, pesca direttamente da certi beats di matrice Radioheadiana (vedi alla voce “Idioteque”) adattati sulla bella voce del musicista la quale crea un pregevole momento di indie-tronica che non sfigurerebbe nella scaletta di un dj-set (magari proprio quello di Thom Yorke). Tutto intorno ci sono orchestrazioni cinematografiche (“Blank”), pulsioni sinuose incrociando il suono acquatico degli A Perfect Circle con il cantato di Matthew Bellamy dei Muse (“Kissed”) e viaggi solitari e crepuscolari nella strumentale “…By Night”. William Wilson si concede anche due cover: la prima è “Phantasmagoria in Two”, canzone del suo amato Tim Buckley, peraltro già omaggiato nel precedente album con “Song to the Siren”. L’altra invece è “I Like Fasolino” dei conterranei The Pepi Band. Sette tracce nelle quali si scova un nuovo William Wilson, che personalmente apprezzo molto di più rispetto al passato, che sveste i panni da cantautore “folk” per ricoprirsi di nuovi e luccicanti desideri sonori. Che William sia riuscito definitivamente a staccarsi dalla schiena il dannato fantasma di Poe a colpi di beats e fecondi arrangiamenti? Lo scoprirò solo con l’arrivo del secondo full lenght... - Antonio Capone - Un errore ricorrente in cui spesso si cade è quello di concentrare le proprie ricerche musicali a chilometri di distanza dal nostro spazio geografico. Certo, l’evoluzione digitale ha permesso la diffusione di una moltitudine indefinita di band e musicisti vari ma spesso in questo mare magnum si corre il rischio di perdere ciò che sta sotto i nostri occhi. Si corre il rischio di perdere artisti come William Wilson, cantautore indie-folk (sì lo so che è una definizione limitante ma necessaria) siracusano giunto alla sua seconda prova. Premessa dovuta: se siete stati mollati, se amate essere tristi o se la dinastia Buckley non è di vostro gradimento, vi raccomando di maneggiare con cura le sette tracce presenti. “Summer holidays & folk routine” arriva ad un anno di distanza dal precedente “just for you not for all” ed è un lavoro da ascoltare in totale solitudine, non prima delle due del mattino e magari pure dopo un bell’esame di coscienza. Se nel primo lavoro tutto (o quasi) ruotava intorno alla voce ed alla chitarra di Wilson, “Summer holidays & folk routine” può vantare l’aggiunta di nuovi elementi e di nuovi collaboratori, primo fra tutti Valerio “uomo tutto-fare” Zappulla. Violini, piano, mellotron e qualsiasi altro suono musicalmente malleabile, accompagnano i brani di questo ep che già da subito si può definire un piccolo capolavoro. Ma procediamo con ordine. “Vita ludus est” ha l’agognato compito d’apertura: immaginate pure reason revolution e nine inch nails che durante una jam session mettono in musica il testo della “canzone di Bacco” di Lorenzo De Medici ed il gioco è fatto. “Take it easy man, life is just a game”. Adesso, prendete il sound massiccio di questo primo brano e gettatelo via. Se avete letto la premessa, vi consiglio di metterla in atto perché “Blank” è un brano che si aggrappa alle vostre inquietudini e non le molla più. Noncurante di chi siete e di cosa avete fatto, per quattro minuti circa, fa di voi quello che vuole per poi lasciarvi un po’ di tregua gettandovi nella traccia successiva: “Kissed”. A tratti quasi psichedelica, la terza traccia di “Summer holidays & folk routine” ha l’ingrato compito di accompagnarvi per mano a quella che sarà il brano “lacrima facile” dell’ep, “By night (september sky)”. Prendete i fazzoletti e preparatevi all’ascolto. Se prima le vostre inquietudini avevano solo fatto capolino, con questo pezzo strumentale hanno libero sfogo: intenso, commovente, liberatorio. Spero vivamente che siate riusciti a sopravvivere e che possiate godere appieno la cover di “Phantasmagoria in two” di Tim Buckley. Non farlo sarebbe davvero un peccato. Onde evitare sgradevoli ed inutili giri di parole vi azzardo subito la mia ipotesi: questa versione supera l’originale. Adesso, se appartenete alla categoria “i mostri sacri del rock non si sfiorano” e volete linciarmi, contattatemi e vi lascerò i miei dati in privata sede. Nel frattempo continuo il mio ascolto e giungo alla penultima traccia: “I like fasolino”, brano originariamente appartenente a the pepi band ma che in questo ep risplende di una luce decisamente migliore. Melanconico e vagamente pop è uno di quei brani che vi fa venire voglia di innamorarvi quindi fate attenzione a chi avete vicino quando lo ascoltate. “A song for Allan” chiude il cerchio di contaminazioni musicali che si era aperto con la prima traccia dell’album e con la sua durata di un minuto e mezzo circa, vi saluta in tutta fretta. Una montagna russa in cui trovare il coraggio di salire e gettare le proprie emozioni ecco cos’è il nuovo lavoro di William Wilson, un’opera in cui poesia ed amore per l’arte si fondono per ricordare all’ascoltatore di turno che certe regole di mercato sono totalmente inutili ai fini di un’ottima riuscita musicale. “La bellezza salverà il mondo” diceva Dostoevskij ed è ascoltando simili piccoli capolavori che realizzi pienamente il significato di certe parole. - Caterina Mauro - A dispetto del nome, Wilson è italiano, per la precisione siciliano, cresciuto a pane e beat generation. Il giovane cantautore dimostra subito di avere molte carte da giocare in questa manciata di brani, tra i quail solo un paio sono totalmente frutto della mente dell’artista sicialiano. Le altre otto tracce, infatti, sono o rielaborazioni di poesie di Gregory Corso e di Boris Vian o cover di Tim Buckley e Piano Magic. L’atteggiamento di Wilson è da cantautore navigato, armato di sola chitarra acustica e di tanto in tanto accompagnato da un piano o da un basso riesce a dare delle letture molto personali, intime, esistenzialiste ed appassionate dei brani altrui. In tutto il disco traspare una grande malinconia, la stessa che pervadeva i lavori di artisti riconducibili a lui, vale a dire Nick Drake e lo stesso Tim Buckley. - Vittorio Lannutti - 3,5/5 Quindici dischi e non sentirne il peso. Detentore di una vocalità impressionista e del sacro fuoco del folk d’autore, quello che non fa cascare le palle per terra, insomma, per Just For You Not For All William Wilson (pseudonimo poesco per un trentenne siracusano) era partito con l’intenzione di fare il classico disco unplugged. L’intesa nata con Giuseppe Forte (alle tastiere, chitarre e missaggio) e Francesco Inturrisi (al basso) ha fatto sì che, escluse comunque le chitarre elettriche, gli altri strumenti dessero forma differente e compiuta alle ombrose intimità intermittenti di ogni pezzo del disco. Comprese le reinterpretazioni di “Song To The Siren”, sopra la media, e la meravigliosa rilettura di “Incurable” dei Piano Magic. È evidente poi, anche nel resto dei pezzi, l’essenza dark/psych che innerva ogni strofa e ritornello, per quanto siano componenti che ritagliano le sfumature di quello che folk è e folk rimane. Tra acre ironia, spezie mediterranee e uso di lingue differenti poi, l’apparto testuale del disco rivitalizza i temi del jazzista e poeta Boris Vian ispirando quattro canzoni, "Y A Du Soleil Dans La Rue", "Pourquoi Que Je Vis", “J'Aimerais/Tout à été Dit Cent Fois” e “Je Veux Une Vie En Forme D'Arete", mentre in “The Wreck Of The Nordling” e “Song”, viene musicata l’arte poetica di Gregory Corso. Il resto è tutto di William, un Wilson molto ispirato e che meriterebbe più attenzione. Mezza stella in più. - Giampaolo Cristofaro - 3,5/5 Si chiama come un racconto di E. A. Poe ma non vi terrorizzerà; ha un nome anglosassone ma è italianissimo; è nato in Florid(i)a, in un luogo di sole, mare ed arance ma non è conterraneo dei Red Hot Chili Peppers, semmai può essere amico di Roy Paci. Per la cronaca, esiste veramente un paese che si chiama quasi come lo stato americano ma è, da secoli, in Sicilia. Googolare per credere. Insomma William Wilson porta il suo destino nel nome: un diamante dalle mille sfaccettature.Il suo stile confidenziale e rassicurante colpisce sin dai primi secondi di “Just You not for all”, primo album autoprodotto e da solista e , probabilmente, registrato in casa. Registrazione domestica che sacrifica un po’ l’ascoltabilità (la voce potente è troppo mortificata dal riverbero in alcuni frangenti) ma, presumo, sia carattere peculiare di una one man band. Ciò nonostante è un album gustoso, costituito da brani brevi, intensi ed eterogenei. Uso delle lingue, la trovo un carattere interessantissimo e funzionale alla musica: il Wilson canta in inglese o in francese come sceglierebbe una chitarra o per un pianoforte, mettendo la “musica della parola” al servizio della “musica della Musica”. “Just You not for all” risente dei numerosissimi esperimenti ed esperienze musicali intrapresi dall’artista durante la carriera: infatti dal 1998 circa, il ragazzo non si è fermato mai passando da un genere all’altro. Un orecchio attento può trovare mille tracce di altrettanti ascolti. Un buon lavoro nonostante tutto. Complimenti Messieur Wilson, la partenza è buona. Ci vediamo alla prossima tappa !!! - Giovanni Villani - 6,5/10 Avete presente quel gioco della “Settimana Enigmistica”? Ma sì, quello in cui il solutore deve unire i puntini numerati per ricavarne, alla fine, una figura? Ebbene, “Just for You, Not for All”, prima prova del misterioso William Wilson, fa pensare proprio a quel trastullo da ombrellone agostano. Solo che qui i riferimenti non sono cifre e segni grafici ma nomi, versi e note. Edgar Allan Poe, Gregory Corso, Boris Vian, Tim Buckley e Piano Magic rappresentano, infatti, i paletti che circoscrivono il microcosmo sonoro del songwriter siracusano. Che poi, come sempre accade in questi casi, tanto chiuso non è: la varietà di spunti e la bizzarria di certi accostamenti, infatti, aprono tutto un mondo di suggestioni impensate, scatenando associazioni d’idee e d’immagini, stimolando la memoria, la fantasia, allenando i timpani a cogliere ogni minima sfumatura e il cervello a ricollegarla a qualcos’altro, in un gioco di semiosi illimitata. “Just for You, Not for All”, recita il titolo del disco, “solo per te, non per tutti”, e sembra quasi un’esclusiva. E un po’ è vero, in effetti. Perché sebbene, come tutti i dischi, anche questo sia un prodotto in serie, è altrettanto vero che l’ascolto, più che in altri casi, si configura come un’esperienza personale, intima. Sarà per gli arrangiamenti minimali, improntati ad un mix di chitarre acustiche, voci, piano e tastiere, o per la disperata veemenza delle vocals, fatto sta che l’LP suona come un sincero tentativo di instaurare un dialogo diretto tra autore e fruitore. Nonostante il piglio oscuro e solenne, infatti, queste dieci vignette folk in bilico fra tradizione (gli chansonnier, la psichedelia sixties) e modernità (il grunge) brillano di una disarmante sincerità. L’approccio letterato (i testi, fatta eccezione per due inediti e due cover, sono usciti dalla penna di Corso e Vian) in questo caso non si configura come sterile esercizio intellettuale, ma costituisce piuttosto un medium, uno strumento attraverso il quale Wilson (a proposito, il nome deriva dal protagonista di una celebre novella di Poe) mette a nudo i propri tormenti, le proprie angosce. Ecco, allora, che il procedimento citazionista viene svincolato da logiche meramente estetiche per farsi portavoce di tormenti esistenziali profondi. Non c’è davvero nulla fuori posto in questo lavoro del siciliano. La maturità e la padronanza nella scrittura sono tali per cui tutto il campionario d’influenze stilistico-poetiche viene ad essere amalgamato alla perfezione. Poco importa che si salti dalle cadenze blues di The Wreck of the Nordling alla sconsolata decadenza di J´Aimerais/Tout à été Dit Cent Fois, dalle ossessioni metronomiche della darkeggiante Je Veux Une Vie En Forme D’Arete allo strumming frizzante di Pourquoi Que Je Vis, dal salmo solenne di Y a Du Soleil Dans La Rue alla più leggera Red Iron Man (uno degli inediti, assieme a Wonderful Nightmare): l’insieme non suona mai schizofrenico, incoerente. Le parole non si limitano semplicemente ad incastrarsi con le frasi musicali, ma interagiscono con esse, caricandosi di nuance di significato inedite, di aromi nuovi. Ed anche quando arrivano le cover il risultato è notevole: Incurable di Glen Johnson si trasforma in un lamento straziante, mentre Song to the Siren di Buckley viene trasfigurata in una specie di maestosa invocazione, dimostrando come Wilson non tema il confronto neppure con un gigante come l’americano. In definitiva, “Just for You, Not for All” è un album assolutamente sorprendente, che getta una luce su un talento prezioso del panorama musicale nostrano. - Marco Loprete - 7,5/10 |
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Febbraio 2017
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