Già alle prese con la colonna sonora del corto "17:34" (2013) di Patrick Caldelari Full, il siculo William V. Wilson ritorna all'opera di studio con "Whispers: A Scar Is Born". Ci sono due introduzioni in qualche modo complementari: "Whispers" evoca un tardo Scott Walker molto più tradizionale e più da sogno che da incubo, e "Omid" si rifà al David Bowie più maturo e tecnologico. L'album sprigiona la sua anima anzitutto nella teatrale "Solitude Glass", un gioco di rimandi vocali e poi una sarabanda per chitarre acustiche. "You In Me" distende un ritornello ampio e melodrammatico su un sottofondo di soffi e riverberi elettronici. Perfettibile è invece "The Other One", d'un crepuscolarismo digitale a due passi dalla folktronica. La maggior vertigine la tocca la chiusa, una "A Scar Is Born" costruita su un fruscio di giradischi e distorsioni piangenti, una murder-ballad che cerca di fuoriuscire dal suo stato amebico. Un disco a suo modo coraggioso, il suo più ambizioso dai tempi del debutto "Just For You" (2010), tralasciando le impurità lo si può vedere come un ciclo di canzoni per voce, arpeggio e campionamenti (Peppe Forte e Peppe Cavarra: bravi anche se nelle retrovie) con qualche momento - pur fugace - da antologia. Registrato e missato in cinque studi. (Michele Saran 6/10)
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Febbraio 2017
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