Già alle prese con la colonna sonora del corto "17:34" (2013) di Patrick Caldelari Full, il siculo William V. Wilson ritorna all'opera di studio con "Whispers: A Scar Is Born". Ci sono due introduzioni in qualche modo complementari: "Whispers" evoca un tardo Scott Walker molto più tradizionale e più da sogno che da incubo, e "Omid" si rifà al David Bowie più maturo e tecnologico. L'album sprigiona la sua anima anzitutto nella teatrale "Solitude Glass", un gioco di rimandi vocali e poi una sarabanda per chitarre acustiche. "You In Me" distende un ritornello ampio e melodrammatico su un sottofondo di soffi e riverberi elettronici. Perfettibile è invece "The Other One", d'un crepuscolarismo digitale a due passi dalla folktronica. La maggior vertigine la tocca la chiusa, una "A Scar Is Born" costruita su un fruscio di giradischi e distorsioni piangenti, una murder-ballad che cerca di fuoriuscire dal suo stato amebico. Un disco a suo modo coraggioso, il suo più ambizioso dai tempi del debutto "Just For You" (2010), tralasciando le impurità lo si può vedere come un ciclo di canzoni per voce, arpeggio e campionamenti (Peppe Forte e Peppe Cavarra: bravi anche se nelle retrovie) con qualche momento - pur fugace - da antologia. Registrato e missato in cinque studi. (Michele Saran 6/10)
Non so quanti di voi siano stati rapiti dalla lettura dei racconti di Edgar Allan Poe. Io sono tra quelli, sin da ragazzina ho amato i suoi scritti accomunati tutti da una caratteristica: le suggestioni e il modo vivido di descrivere sentimenti ed emozioni che riescono a catturare in maniera magica e unica l’attenzione del lettore.
Il musicista siciliano William Wilson prende in prestito il nome da uno dei racconti di Poe, affascinato sicuramente dal suono magico delle atmosfere create dalla storia, che narra dell’alter ego presente in William, il protagonista. Probabilmente ognuno di noi ha un doppio che non sempre ci distrugge, come succede negli scritti di Poe, ma può proteggerci, nasconderci, permetterci di guardare la vita da un punto di vista lontano, più distaccato e disilluso. William Wilson non poteva scegliere un nome migliore per il suo progetto; “Whispers: A Scar Is Born“, uscito a fine ottobre per Seahorse, è un disco permeato da un’atmosfera intima, malinconica ma lieve, che dimostra tuttavia una profonda attenzione alle ricerche sonore e alla sperimentazione nell’utilizzo di samples ed elettronica che riempiono l’album contribuendo a renderlo colto e ricercato. In alcuni pezzi a prevalere è il folk cantautoriale di stampo d’oltreoceano, altrove ballate ariose e più pop, in una serie di pezzi personali ma ben confezionati. Il pezzo di apertura “Whispers” ci accompagna da subito nel profondo dell’animo di Wilson tra arpeggi di chitarra e melodie dolci e malinconiche. Il successivo “Omid”, ballata dalla ritmica più veloce e dinamica, velata da una nota di inquietudine e disagio, è un pezzo capace di farsi apprezzare già dal primo ascolto. Il folk diventa invece protagonista in “The Solitude Glass”, in cui un rincorrersi di voci e suoni riesce a creare un’atmosfera eterea e psichedelica mentre l’elettronica pop fa da accompagnamento ad un canto toccante e tormentato in “The other one“, altra prova riuscitissima di William. Non può certo mancare il racconto di una storia d’amore: “Lost Love” è una ballata struggente e poetica che tocca le corde del cuore di chi si avvicina al brano. L’emozione traspare anche dall’ascolto dell’ultima traccia, “A scar is born”, la title track, che si muove in un cantautorato ricco di suggestioni e racconta le cicatrici più o meno profonde presenti in ognuno di noi, capaci di renderci più forti, maturi e consapevoli. Il pezzo si trascina verso la fine in una coda elettronica dolcemente psichedelica. In definitiva, l’universo musicale in cui riesce ad accompagnarci “Whispers: A Scar Is Born“, album intimo e schietto, è davvero un piacevole accompagnamento sonoro, capace di dar luce e colore a queste giornate fredde e malinconiche. Speriamo, dunque, che l’avventura musicale di William Wilson possa continuare e regalarci altre emozioni in musica. William Wilson è un musicista di stanza a Siracusa che prende il nome dal protagonista di un racconto di Edgar Allan Poe il cui nucleo narrativo è incentrato sull’inganno del doppio, di come conviva in ogni individuo un dualismo controllato dalla parte razionale dell’inconscio, pronto a rilasciare una oscura forza autolesionistica. Dopo la pubblicazione dell’album autoprodotto “Just For You, Not For All” e dell’EP “Summer Holidays & Folk Routine”, uscito l’anno successivo, oltre alla partecipazione alla O.S.T. del cortometraggio “17:34”, Wilson dà alle stampe per i tipi della label indipendente Seahorse Recordings “Whispers: A Scar Is Born”. L’album si compone di nove brani crepuscolari in cui prevale l’elemento dell’essenzialità valorizzato dalla centralità della chitarra acustica di Wilson, nonostante la presenza di arrangiamenti che si avvalgono di un’elettronica mai invasiva e sempre funzionale ad assecondare il percorso emotivo di una scrittura solida. L’opener Whispers è uno dei pezzi forti della tracklist, con la sua drammaticità quasi bowieana, così come la successiva Omid alle cui suggestioni ed al cui incedere umbratile ci si abbandona volentieri. Con Solitude Glass ci si immerge in nebbie che lasciano addosso l’odore della malinconia, le chitarre intrecciano arpeggi che si incastrano alla perfezione nella struttura ritmica costruita da Marco Caruso, Mauro Felice e dai pattern di Peppe Forte. The Other One è uno dei pezzi più riusciti dell’album, con il suo delicato languore electro pop e la sua struggente coda strumentale, mentre il cuore elettrico di Raw Suns & Grim Moons è oltremodo pulsante di vita. Dopo la quiete rassicurante di Lost Love, sostenuta solo dalla chitarra acustica di Wilson e dai rintocchi del Fender Rhodes di Peppe Forte, si arriva al decadentismo di You & Me, brano che esplode come fosse un fuoco fatuo in un cielo nero. In chiusura l’eponima A Scar Is Born, dove la voce di Wilson diventa ieratica, quasi arrivasse da un’altra dimensione, e si fa spazio attraverso il rumore di fondo di un vinile usurato dai cui solchi si liberano scie luminescenti di suoni eterei. “Whispers: A Scar Is Born” è un’ottima prova per maturità ed ispirazione, sintetizzata nell’artwork di copertina a cura di Giuppy Uccello: una linea ferrata che attraversa, anziché la terra, il mare, come a volere rimarcare l’eterna divisione di un’anima tutta da ricomporre. Se avete voglia di rilassarvi durante una giornata di pioggia, oppure di affrontare un viaggio in macchina con le nuvole che riempiono di grigio il cielo, avvolti dalla spensieratezza, Whispers: A Scar Is Born di William Wilson è l’album adatto da ascoltare. Con la traccia d’apertura, Whispers, possiamo già intuire le sonorità cupe e melanconiche che caratterizzano questo lavoro. L’arpeggio di chitarra che accompagna un testo struggente: “I whisper all the time, my fear it kills my mind, I’m asking why I cry”. Il brano si conclude con una frase ripetuta più volte, che da’ appunto quella sensazione di finire intrappolato nei propri pensieri, senza un’apparente via d’uscita..”My thoughts, they twist deep inside”. The Other One sottolinea invece molto di più un’analisi introspettiva dell’autore, parlando di un “gioco solitario” con la sua mente, con il suo cervello, manifestando la volontà di smettere con il passato, perchè sa che potrebbe fallire ancora una volta. “Lost Love” invece parla di un amore perso, probabilmente finito, come se la sua “lei” fosse deceduta. La frase “Now she’s only skin and bones” ne è la prova. Wilson conclude appunto il brano facendo riferimento ad un ultimo bacio, per un triste addio, il tutto accompagnato da un arpeggio di chitarra che rimanda ad una situazione che provoca tormento e angoscia. A chiudere questo lavoro è il brano “A Scar Is Born”. Subito si può riuscire a cogliere un fuoco che arde, insieme ad un amalgamarsi di chitarre dal suono struggente e da un basso quasi martellante e monotono. Il testo intenso e doloroso completa l’opera. In conclusione, un album dalle sonorità molto “darkwave” che vede William Wilson, a mio parere, come uno Schopenauer della musica, il cantautore di Scicli da’ infatti sfogo alla sua vena pessimistica. Whispers: A Scar Is Born è comunque un lavoro che merita l’ascolto, perchè al di là dell’atmosfera cupa (che può piacere o non piacere), contiene degli arrangiamenti niente male. Unpure approva! William V. Wilson cantautore siracusano di stampo anglosassone pubblica per Seahorse Recordings “Whispers: A scar is born”, un LP dal gusto unico ed irripetibile, infatti, durante l’ascolto dell’album si può ben ascoltare come il cantautore siracusano abbia dato un’indiscussa prova di maturità di suoni, tecnica e sperimentazione. La prima traccia “Whispers” c’introduce nel mondo raffinato ed oscuro di Wilson per poi continuare con il psichedelico arpeggio di “Omid” che sfocia in una ballad che conquista e non lascia dubbio nelle orecchie dell’ascoltatore, infatti, già dalla seconda traccia si può capire la levatura artistica del progetto. “The solitude glass” continua a rapire segnando così una tripletta che pochi potrebbero incastonare, arpeggi classici e frasi ripetute come mantra in loop. “The Other One” già conosciuta ai molti come “A Lonely Game” ripercorre la prima citata canzone in una chiave più elettronica senza però snaturarne il senso. “The Same Fucking Shit” è un concentrato di disillusione e caratteristico è l’arrangiamento del brano caotico e pieno di profonda incazzatura verso ciò che magari potrebbe essere la vita di un’artista sincero in questo paese. L’ album prosegue con “Raw suns & grin moons” per noi, la migliore traccia dell’album infonde alla perfezione il senso di ciò che è la musica di William Wilson, una traccia da scoprire e non lasciare andare troppo facilmente nel dimenticatoio. “Lost Love”, “You in me”, “A Scar is born” rappresentano la coda finale dolcemente amara di questo album, tre ballad di cui una prettamente oscura che bilancia la dolcezza e la profondità delle tracce precedente. In conclusione, l’album di William Wilson rappresenta un ottimo punto d’arrivo ed uno straordinario punto di partenza, saremo felici di ascoltare sicuramente altro dal cantautore siracusano! Der Italiener William Wilson (sein Pseudonym hat er sich von der gleichnamigen Erzählung des US-amerikanischen Poeten, Kriminal-, Science-Fiction- und Horrorschriftstellers Edgar Allan Poe ausgeliehen. In dem 1839 entstandenen, autobiografischen Text geht es [anhand des Doppelgängerthemas] um das Dilemma zwischen realen Handlungen und dem menschlichen Gewissen) startete im kalten Herbst des Jahres 2009 aus einer scherzhaften Laune heraus ein Soloprojekt (Name siehe oben) zur musikalischen Interpretation unter anderem von Werken der Autoren Edgar Allan Poe, Boris Vian, Charles Baudelaire und Gregory Corso.
Nach der LP "Just For You, Not For All" (2010), der EP "Summer Holidays & Folk Routine" (2011), der Mitarbeit an dem Soundtrack zu dem Kurzfilm "17:34" (2013) und der Kompilation "What I Used To Be" (2014) erschien in diesem Frühsommer “Whispers: A Scar Is Born“, das nächste Album des Musikers, Sängers, Komponisten, Arrangeurs und Produzenten. Im Laufe der neun regulären Stücke und des obendrein angebotenen inoffiziellen Titels “A Dream Within A Dream“ (dem sogenannten Ghost Track), benannt nach einem berühmten Poem Poes (es existieren zahlreiche weitere musikalische Adaptionen des Stoffes, wie zum Beispiel ein Instrumental von THE ALAN PARSONS PROJECT auf dessen 1976er Album “Tales Of Mystery And Imagination Edgar Allan Poe“) erklingen Singer-Songwriter, Acoustic Folk, Electric Folk, Indie Rock, Indie Pop und Noise Rock im steten Wechsel. Es hört sich melodiös, surreal, melancholisch, romantisch, düster und manchmal auch ein wenig schräg an. William Wilson und seine insgesamt neun Mitmusiker verströmen mit “Whispers: A Scar Is Born“ eine Menge ganz unterschiedlicher Emotionen und Stimmungen auf diversen Intensitätslevels. Sie orientieren sich dabei selbstverständlich eng an den imaginären Welten der von ihrem Chef hochgeschätzten Literaten. Parfois, un destin ne tient à pas grand chose. Prenez William Wilson par exemple. Si celui-ci, sur la base d'une blague ne s'était pas eu le désire de mettre en musique les œuvres d'Edgar Allan Poe, Boris Vian, Gregory Corso ou Charles Beaudelaire, il est probable qu'il serait resté dans son coin ne faisant de la musique que pour son hamster. Et cela aurait été dommage, car si le bonhomme est fasciné par les auteurs sus-cités il n'en demeure pas moins un song-writer et un interprète fort agréable. Son nouvel opus (là encore inspiré par Poe) est le témoin et on se laisse facilement bercer par les douces mélodies alambiquées et la voix suave de son chanteur qui ne se laisse aucunement aller à un trop grand maniérisme. William Wilson a su trouver le ton juste en délivrant une musique éclairée et, pour ainsi dire, construite avec intelligence. Le petit côté mainstream, un peu trop léché, ne doit rebuter. Bien au contraire, les avantages sur ce disque sont bien plus nombreux que les inconvénients. D'ailleurs, on ne met pas très longtemps à l'apprivoiser. Et pourtant, William Wilson n'est pas un adepte des plus vils facilités. On se rend compte qu'il se donne du mal, qu'il ne veut pas être dans le pré-requis du songwriting rock. De fait, on passe un bon moment avec lui, au grand air, par une belle journée d'été. Parce que oui, on imagine mal que cela puisse être autrement tant les images qu'il nous renvoie sont évidentes. Whispers : A Scar Is Born est un album lucide, fait sans arrières pensées si ce n'est celle de donner une musique qui s'éloigne de la soupe radiophonique qui se répand comme une peste brune. Sans être le prochain prix Nobel, William Wilson fait largement du bien à nos tympans et, par extension, à ce qui se trouve entre ceux-ci. Il faut vraiment avoir grandi en s'infligeant le pire du pire pour penser le contraire. Et si c'est le cas, et bien, tant pis pour vous, il y en a marre de faire du social et on ne peut plus rien pour vous. ‘De la musique avant toute chose’, c’est ainsi que Verlaine décrivait l’Art Poétique. Et il est vrai que les ponts jetés entre la littérature et la musique sont légion. On en a encore eu l’illustration avec Rufus Wainwright qui avait jeté son dévolu sur Shakespeare. Ici, c’est plutôt du côté d’Edgar Allan Poe qu’on lorgne, avec un nom qui est tiré d’une nouvelle de l’auteur anglais.
Pas mal aérien avec quelques arpèges et une belle voix, Whispers part sur un mode léger et puis épaissit le son. Omid se présente lui comme un mid-tempo bien tempéré, suspendu à son fil rythmique léger. C’est assez fin, peut se renforcer d’un bruissement et d’une voix féminine sur The Other One. Il ne se satisfait donc jamais du joli, pousse plus loin l’envie de se distinguer. Comme cette quête ne débouche pas sur du gadget plaqué sur des compositions qui ne leur demandaient rien, on est assez contents. Surtout que le final instrumental est suffisamment dense tout en restant assez discret. Cette discrétion pourrait d’ailleurs le desservir puisqu’il faut tendre l’oreille pour discerner à quel point la fin de The Solitude Glass est fouillée. On était bien d’accord, on n’avait plus droit à faire des morceaux cachés en fin d’album, hein ? Ceci dit, cette petite interruption lui permet de présenter le morceau qui est une mise en musique d’un poème d’Edgar Allan Poe sur un mode sensiblement plus électrique que le reste. Ce petit supplément vient donc renforcer la cohérence d’un album peut-être trop discret pour marquer tout de suite mais qui scelle la découverte d’un talent déjà affirmé. |
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Febbraio 2017
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